Un controllo TAC eseguito successivamente il 10-12-98,
evidenziò un quadro immodificato rispetto al precedente.
Data la precarietà della situazione cardiaca, la paziente fu inserita
in lista di attesa per trapianto cardiaco presso l'Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù di Roma, e nel frattempo potè proseguire con
la sua terapia biologica.
Una TAC del torace del marzo 99 dimostrò una situazione invariata
rispetto alla precedente.
In data 18-5-99 la paziente fu sottoposta a trapianto
cardiaco ortotopico. (V. atto operatorio).*
La terapia con il protocollo MDB fu ripresa il 6-6-99
ad esclusione del chemioterapico (Ciclofosfamide), data la concomitanza
della terapia antirigetto con effetto immunosoppressivo.
Una TAC del torace del 14-7-99, eseguita presso il
Centro Cardiochirurgico di Roma, dimostrò un quadro radiologico
immodificato rispetto al precedente di Marzo (Vedi).
Anche a livello dell'omero non si evidenziarono alterazioni
delle parti ossee e delle parti molli circostanti.
Attualmente la paziente è in condizioni cliniche
buone, sempre seguendo la terapia biologica, integrata con la terapia
immunosoppressiva antirigetto.
Gli esami ematologici rientrano nei limiti della norma, ed a seguito di
un recente follow-up per i trapianti ha dimostrato un buon equilibrio
emodinamico.
DISCUSSIONE
I dati della letteratura indicativamente dimostrano
una sopravvivenza del 15-20% a 5 anni dei pazienti trattati con chemioterapia
dopo l'intervento di amputazione, quando non siano presenti metastasi
in altri distretti.
La sopravvivenza comunque non corrisponde all'assenza
di malattia, ma comprende spesso recidive entro un periodo medio di 18
mesi. Quando siano presenti metastasi polmonari, con il trattamento chemioterapico
generalmente si riesce ad ottenere una stabilizzazione delle lesioni,
ma non sono state descritte sensibili riduzioni delle dimensioni e nel
numero delle stesse.
In linea generale dalle ricerche eseguite presso l'Università
del Texas, presso l'Istituto dei Tumori dell'M. D.Anderson Hospital, è
stato dimostrato che un fattore importante capace di condizionare la prognosi
di questa malattia è direttamente proporzionale all'efficienza
del sistema immunitario, che deve essere migliorata quando particolarmente
compromessa. (1)
Dallo studio di 243 casi esaminati in un periodo di
24 anni presso lo stesso centro, si è osservato che la chirurgia,
la radioterapia e la chemioterapia impiegata singolarmente o in associazione,
non sono riuscite a ridurre significativamente la mortalità per
questa malattia, né a prolungare la sopravvivenza oltre il 12,6%
a 5 anni. (2)
In un lavoro recente di Kondo,T. e coll. eseguito
presso il Dipartimento di Chirurgia Toracica della Tohoku University Sendai,
Japan, dallo studio di 17 pazienti nel periodo di 20 anni, portatori di
osteosarcoma con metastasi polmonari, trattate chirurgicamente, è
emerso che la sopravvivenza dipende dal numero delle metastasi, che deve
essere inferiore a 20 per una indicazione chirurgica e prognostica più
favorevole.
Gli stessi AA. invocano inoltre come unico rimedio quello di eseguire
un follow-up meticoloso e frequente dopo ogni intervento, per cogliere
le lesioni precocemente, con lo scopo di eseguire delle resezioni polmonari
più limitate. (3)
Marcove, R.C. e coll. in uno studio eseguito su 145
casi portatori di metastasi polmonari, non trattate chirurgicamente hanno
osservato una sopravvivenza a 5 anni del 2%, mentre in 22 pazienti sotto
i 21 anni, trattati ripetutamente con resezioni polmonari, si è
avuta una sopravvivenza del 31% a 5 anni, anche se con residui di malattia.
(4)
Klenner,T. e coll. in uno studio eseguito presso il
Centro di Ricerche sul Cancro presso l'Istituto di Tossicologia e Chemioterapia
dell'Università di Heidelberg, hanno osservato che un chemioterapico
di nuova concezione (Razoxane) applicato sull'osteosarcoma con metastasi
polmonari indotte nel ratto, ha dato qualche risultato sulla sopravvivenza,
senza assolutamente influenzare il pattern delle metastasi, e senza influenzare
l'angiogenesi. (5)
Non sono da sottovalutare inoltre gli effetti tossici
della chemioterapia sul rene, soprattutto ad alte dosi, usate in questi
tumori. (6)
Bacci,G. e coll. in uno studio multicentrico secondo
un protocollo Italo-Scandinavo, hanno studiato gli effetti di una chemioterapia
ad alte dosi nell'osteosarcoma con metastasi a distanza, senza riuscire
a dimostrare sicuramente un beneficio, e per lo meno senza avere come
effetto della medesima terapia una regressione dei secondarismi. (7)
Oltretutto lo stesso autore ha riportato i risultati
negativi per la nefrotossicità indotta dal trattamento con l'Ifosfamide
ad alte dosi. (8)
La miocardiopatia dilatativa indotta dall'effetto
tossico della doxorubicina (Adriblastina) è risaputo ed universalmente
riconosciuto: il meccanismo d'azione è da ricondurre ad una modificazione
del processo di eccitazione-contrazione del miocardio, attraverso una
riduzione della densità dei canali di rilascio del calcio nel reticolo
sarcoplasmatico. (9)
Di particolare interesse è un lavoro sperimentale
sul ratto di Morishima, I. e coll., che hanno dimostrato che la Melatonina
con il suo meccanismo d'azione antiossidante protegge dalla miocardiopatia
indotta dall'Adriamicina. (10)
CONCLUSIONI
Il caso clinico su esposto si presta ad alcune
considerazioni di carattere generale, che in prospettiva invocano delle
strategie innovative nel trattamento di questa particolare forma tumorale.
La storia clinica della piccola paziente dimostra
con evidenza tutti gli effetti negativi di una terapia medica universalmente
riconosciuta.
La paziente è stata seguita in tre centri
molto qualificati, come l'Istituto Ortopedico Rizzoli - Centro Tumori
Ossei, il Centro per le Malattie Cardiovascolari Infantili dell'Università
di Parma, ed il Centro di Cardiochirurgia dell'Ospedale Bambino Gesù
di Roma, e quindi non vi sono dubbi circa la correttezza del trattamento
impiegato.
Non è ragionevole pensare ad un errore
della diagnosi della malattia sia in prima istanza all'epoca dell'intervento
(v. esame istologico), che alla comparsa delle lesioni polmonari.
Per quest'ultima condizione, non vi sono lesioni polmonari
simili da porre in diagnostica differenziale, soprattutto considerando
che le metastasi polmonari nel sarcoma osteogenico sono tutt'altro che
rare. Quando è stato impostato il trattamento chemioterapico, non
è stato posto alcun dubbio circa la diagnosi: sarebbe un grave
errore impostare una terapia con effetti collaterali negativi importanti
e riconosciuti, senza una sufficiente sicurezza sulla diagnosi.
Gli effetti tossici dovuti alla chemioterapia che
sono descritti in letteratura si sono verificati tutti, e con particolare
drammaticità; non da ultimo la miocardiopatia dilatativa indotta
dalla doxorubicina (Adriblastina), che ha portato la paziente ad una condizione
labilissima dal punto di vista cardiocircolatorio, tanto da obbligarla
ad un trapianto di cuore.
I primi tre anni di trattamento convenzionale hanno
soltanto portato la paziente ad una condizione di ingravescenza della
malattia, sia dal punto di vista clinico , che radiologico.
Al contrario dopo solo due mesi di trattamento con
la terapia attuata secondo il "Protocollo Di Bella", si è
avuto un netto miglioramento clinico e radiologico (una riduzione del
numero delle lesioni polmonari da 7 a 2), e durante gli ultimi 18 mesi
la paziente si è stabilizzata clinicamente.
Purtroppo per i danni indotti dalla chemioterapia
sul miocardio, è stato necessario un trapianto cardiaco, pur sempre
con la protezione dellla terapia biologica.
A questo riguardo è noto che qualsiasi intervento chirurgico in
un paziente neoplastico porta ad una immunodepressione e conseguentemente
ad una aumentata incidenza di recidive o di secondarismi.
A 8 mesi di distanza dall'intervento di trapianto cardiaco, il quadro
radiologico e clinico sono invariati dal punto di vista oncologico.
Non è da trascurare inoltre che la medesima
terapia possa aver condotto la paziente a condizioni ottimali per affrontare
un intervento di così grande portata.
Infine il caso descritto è il primo che riguardi
il trattamento con MDB, associata ad una terapia immunosoppressiva antirigetto.
RIFLESSIONI FINALI
Il caso clinico riportato sembra molto indicativo
per prospettare una terapia medica nuova in una malattia riconosciuta
universalmente a prognosi infausta.
Il follow-up a distanza della piccola paziente
potrà darci ulteriori conferme della nostra convinzione sull'utilità
della terapia biologica in questo particolare tipo di tumore.
Un caso clinico unico difficilmente viene considerato
come conclusivo per una nuova impostazione terapeutica generalizzata,
tuttavia data la scarsità dei risultati della terapia oncologica
classica, non va sottovalutato un risultato chiaramente positivo del trattamento
MDB.
Data la sensibilità dimostrata dalla
paziente per questa terapia, vi è un ragionevole motivo per pensare
che la sua storia clinica avrebbe potuto essere molto diversa se la terapia
MDB fosse stata impostata fin dall'inizio, evitandole gli effetti negativi
della chemioterapia, e di un intervento chirurgico molto pesante quale
un trapianto cardiaco, che la obbligherà ad un futuro di controlli
clinici frequenti per l'adeguamento della terapia antirigetto, immunodeprimente,
e quindi tendenzialmente destabilizzante nei confronti della sua malattia
neolplastica di base.
BIBLIOGRAFIA
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